Il Freeride è uno stato mentale? Una storia di bikepacking.

 

Avevamo un conto in sospeso con il Tour des Combins, una delle route trans-alpine meno conosciute e tra le più spettacolari che le Alpi Pennine possano offrire. Nel 2015 avevamo provato a compiere questo loop di 113 Km (70 Mi) per 4.161 m (9,176′) di ascesa totale in bikepacking, ma avevamo dovuto desistere a circa metà del percorso a causa di una caviglia dolorante.

 

 

La stessa caviglia che, 4 anni prima, durante la vigilia di Natale si era regalata un chiodo epidurale, una placca e diversi chiodi per tenere saldi tibia e perone, frantumati in una banale curva con appoggio. Quello fu l’ultimo giorno della nostra esperienza freeride, un mondo scoperto per caso attraverso le pagine di Pinkbike, che per anni ci aveva regalato giornate spensierate di riding nei boschi delle montagne abruzzesi. Furono anche gli anni di Clorophilla (2005), un momento intenso della nostra vita a cui è difficile dare una definizione, per molti soltanto un video di freeride filmato interamente in Abruzzo (Italia), ma per quei sei ragazzi che lo realizzarono fu molto di più.

 

 

 

Per noi due ben presto la sete di adrenalina venne meno, mentre crebbe una fame di scoperta, andando oltre quei trail di casa scavati e percorsi fino all’inverosimile, esplorando nuove terre e visitando nuovi paesi. I giorni passati a costruire i northshore e i drop, erano ormai lontani, mentre si facevano sempre più presenti gli avvincenti racconti delle avventure di Walter Bonatti e la ricerca di terre lontane su quel mappamondo, che fino ad allora era stato solo un semplice soprammobile. Nasce così Montanus, un progetto di bikepacking in cui la voglia di fuggire per esplorare nuovi mondi ci spinse in pochi anni ad esplorare in autosufficienza il White Rim, nel Canyonland National Park, ad attraversare le paludi dell’Estonia, a percorrere il Tour Du Mont Blanc sulle Alpi e il Kokopelli Trail lungo il deserto dello Utah.

 

 

 

A due anni da quel tentativo fallito siamo tornati sul Passo del Gran San Bernardo, sul confine tra Italia e Svizzera, pronti ad affrontare per la seconda volta il Tour des Combin al cospetto dei più imponenti 4000 metri alpini. Nel 2004 giravamo su bestie da 27 kg con gomme da 3 pollici e fa un certo effetto pensare che oggi pedaleremo bici con lo stesso peso, sempre su gomme da 3 pollici.

 

 

Sembra che nulla sia cambiato, ma niente più è come prima. Nei 27 kg oggi sono inclusi la tenda, il sacco a pelo, il fornello a gas, il materassino, il cibo e tutto l’occorrente per vivere l’outdoor in autosufficienza.

 

 

Già, l’outdoor, quell’ambiente che merita di essere esplorato, capito e rispettato, in cui non c’è un cronometro, ma dove tutto è regolato da un unico grande orologio biologico. 3 giorni magici, 2 campi di cui uno in alta quota, 3 passi alpini, 60 metri di strada romana risalente al 50 d.C. scavata a mano nella roccia, 1 km di via Francigena, vette perennemente innevate, viste mozzafiato, ghiacciai, singletrack tecnici, cascate, fiumi glaciali, salite ripide, marmotte, alpeggi, stambecchi, hike-a-bike, via ferrata, laghi turchesi, stelle alpine, freddo, caldo, raffiche di vento, pioggia, neve, un pennarello e uno sketch-book per riportare a casa anche questa magnifica esperienza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Invecchiando o, se preferite, maturando, si ricerca altro, ed è bello così. L’importante è sempre vivere appieno ciò che più ci piace, dove ci porta l’istinto e ci spinge la passione. In fin dei conti la bici non ha importanza, il freeride è uno stato mentale.

 

 

Testo: Francesco D’Alessio
Foto: Giorgio Frattale e Francesco D’Alessio

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