Esplorando la Patagonia selvaggia

 

 

In un caldo pomeriggio di fine estate, al termine di una delle solite session di riding nella montagna dietro casa, nacque l’idea di quella che sarebbe stata una tra le più belle esperienze della nostra vita. Dalle pagine di un vecchio libro di esplorazioni saltarono fuori le immagini di una terra meravigliosa, selvaggia come poche, lontana da tutto e da tutti, meta ambita dalla fantasia di molti. La Patagonia ci aveva affascinato da sempre e per troppo tempo era rimasta irraggiungibile. In quei giorni però qualcosa cambiò e alcuni mesi dopo ci ritrovammo a sorvolare l’Oceano Atlantico per vivere un sogno.

Dopo 14000km di volo, il capitano dell’aereo annunciava che a breve saremmo atterrati. Sotto di noi lo scenario è maestoso, contrasto perenne tra l’ocra delle terre brulle della steppa patagonica e gli ampi bacini d’acqua dal colore turchese acceso. Sullo sfondo si erige maestosa la Cordigliera delle Ande, dove svettano imperiosi il Cerro Torre e il Mount Fitz Roy. Dopo esser atterrati raggiungiamo il nostro alloggio, un piccolo hotel a conduzione familiare. La cittadina di El Calafate è punto di partenza per i turisti che visitano il ghiacciaio Perito Moreno e per gli hikers di tutto il mondo diretti a El Chanten. Non avevamo una destinazione specifica da raggiungere, forse perché era più dentro di noi che lì fuori.

Avvertivamo una spinta verso l’ambiente selvaggio della Patagonia, desiderio di viverlo appieno, respirarne l’essenza catturandone i momenti. Per questo scopo avevamo aggiunto al nostro assetto da bikepacking anche il packraft che ci avrebbe permesso di navigare i corsi d’acqua che avremmo incontrato. Dopo 2 giorni di preparativi, arrivò il giorno della partenza e ci ritroviamo a pedalare su uno stradone polveroso che ci avrebbe condotto a ridosso delle Ande. L’ambiente della Patagonia è tanto bello quanto aspro, e i venti che la sferzano quasi incessantemente contribuiscono a rimarcarne la durezza. Dopo alcune ore passate a pedalare con il vento contrario vediamo spuntare all’orizzonte l’imponente mole delle Ande, perennemente innevate, che, d’ora in avanti, ci guiderà come un faro.

Di lì a poco un gruppo di strani animali ci attraversa la strada, fermandosi sulla nostra destra per scrutarci. Facciamo altrettanto. Sono i guanaco, che a differenza dei Lama addomesticati, sono animali liberi e selvaggi, padroni incontrastati della steppa Patagonica. Liberi e selvaggi come i condor andini che volteggiano sopra le nostre teste, i veri re dei cieli patagonici. Questa è la Patagonia e anche noi eravamo un po’ più liberi. E’ sera e giungiamo in prossimità di un’Estancia, la classica fattoria argentina. Qui tutto è rimasto come un tempo, la mungitura delle bestiame, la tosatura delle pecore, la cottura dell’asado. Qui si “coltiva” la vita semplice. L’Estancia è l’ultimo avamposto dove sopravvive la cultura tipica dei gaucho. Una cultura ormai in via di estinzione, braccata dall’avanzare della vita moderna e dai suoi ritmi frenetici.

Il giorno successivo riprendiamo il nostro viaggio, ma quasi subito siamo costretti a fermarci poiché il sentiero finisce in un lago. Il livello dell’acqua era cresciuto oltre misura, ci aveva spiegato un gaucho che avevamo incontrato poco prima a cavallo. Mai come quest’anno i ghiacciai dello Hielo Continental Patagonico avevano riversato così tanta acqua nelle valli. Smontiamo le bici e le leghiamo saldamente sui packraft per proseguire quell’esperienza incredibile, vissuta ai confini col mondo per tornare ad essere, anche noi, uomini liberi e selvaggi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Words: Francesco D’Alessio
Photos: Giorgio Frattale and Francesco D’Alessio
Film: Giorgio Frattale

Website: montanuswild.com

 

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